totò e peppino Noio volevan savoir…

Immaginatevi due amici che si incontrano. “Ciao, come va? Ti va di andare al quisibeve? Magari per un traidue? Lì fanno dei polibibita eccellenti e si mangia bene: l’altra volta ho preso una poltiglia ottima; il mescitore poi mi ha consigliato un prestoinletto niente male e il guidapalato un peralzarsi molto particolare”. Vi chiederete chi sono sti due pazzi? Beh, potremmo essere/diventare tutti noi, se dovesse tramutarsi in legge la proposta dell’On. Rampelli di nazionalizzare, per sedicenti scopi difensivi da non si sa quali attacchi, la nostra lingua, a suo dire contaminata da troppi “forestierismi”. Quello citato all’inizio non è frutto della mente malata di chi scrive, ma un dialogo verosimile tra due futuristi all’alba del Novecento, quando Filippo Tommaso Marinetti con una combriccola di avanguardisti (nel senso artistico del termine, beninteso) propose il suo Manifesto del movimento, appunto, futurista. 

Nulla è cambiato, da Marinetti a Rampelli. Anche se l’abisso tra i due c’è e si vede. Abisso artistico poiché il movente alla base del Futurismo era di chiara natura provocatoria (forse fin troppo, per quanto, noi radicali, siamo amanti delle provocazioni): volevano distruggere il passato, la tradizione classica poetica e figurativa, musei e biblioteche (anche se non si ricordano Uffizi in fiamme!), l’“immobilismo”, eliminare ogni termine derivante da lingue straniere e non solo a livello lirico, ma anche per quanto riguarda, ad esempio, il lessico gastronomico. E’ forse poco conosciuto, ma esiste anche un Manifesto della cucina futurista: i nostri eroi non bevevano più cocktail, ma appunto polibibite; non andavano più al bar, ma al quisibeve; non mangiavano più sandwich o purée, ma traidue o poltiglia; il barman diventa mescitore e il maitre diventa guidapalato; il grog si trasforma in prestoinletto e il dessert in peralzarsi e via dicendo…

L’intento futurista era ben chiaro: in nome del nazionalismo trionfante del tempo (quale? Oggi o ieri?), in Italia e non, di cui i futuristi sono stati fieri sostenitori (anche politicamente, vedi la vicinanza del Marinetti col fascismo sansepolcrista, anche se nel 1920 già volta le spalle a Mussolini, ma sui rapporti Marinetti/Fascismo ci sarebbe da dire, eccome…), ripulire, purgare, decontaminare la lingua di Dante da influenze e “batteri” ester(n)i. Con o senza olio di ricino. Quello, a tavola, lo porterà qualcun altro…

Abbiamo tutti studiato il Futurismo, abbiamo tutti letto la lode che fa Marinetti alla guerra (“unica igiene del mondo”) e l’odio verso la donna o quanto meno un marcatissimo maschilismo (donna spesso paragonata ad un “golfo” accogliente per le “navi” (gli uomini)), abbiamo tutti ammirato le opere di Boccioni e Balla, abbiamo tutti letto, seppur con fatica, “L’assedio di Adrianopoli”…ebbene, era “solo” arte, meravigliosa arte, discutibile finanche, ma sempre e solo arte. 

Nelle sue ultime dichiarazioni, il Rampelli è stato un fiume in piena sì, ma di stupidaggini: ha pubblicamente affermato che l’italiano è la quarta lingua più parlata al mondo. Ebbene, secondo i dati di Ethnologue (2022), la lingua che comunemente usiamo è la 23esima più parlata al mondo per numero di parlanti in madrelingua (L1) e la 29esima per numero di parlanti totali (madrelingua e non madrelingua). Ben lontani dalla quarta posizione di cui si vanta Rampelli. Aggiungo: le lingue da sempre sono suscettibili (e vivaddio!) di modifiche, neologismi, contaminazioni…

Rampelli non si ferma e cita la nostra lingua come “la lingua di Dante”. Anche qui, grossolani errori. Dante è giunto ad un volgare (che non è l’italiano!) semiperfetto dopo una lunga analisi nel “De Vulgari eloquentia”, lasciato tra l’altro incompiuto, ma affermando che il suo risultato (la scelta del volgare fiorentino) è ascrivibile esclusivamente alla lingua letteraria (e non alla lingua parlata, obiettivo irraggiungibile proprio perché troppo mutevole da essere standardizzata…); inoltre, sempre restando alla citazione rampelliana su Dante, il Sommo Poeta (e non solo lui) nella Divina Commedia fa largo uso di “forestierismi”, ovviamente dell’epoca: quando incontra le tre fiere nel I canto dell’Inferno, definisce la lonza “fiera dalla gaetta pelle” e “gaetta”, Contini lo conferma, è termine derivante dall’antico provenzale “caiet” che vuol dire “maculato”; ma non basta…in Paradiso, XX, 14 usa il termine “flailli”, evidente gallicismo da “flavel” per indicare un flauto; e ancora…il famosissimo verso, mai come oggi attuale:”Ahi serva Italia, di dolore ostello…”, ebbene “ostello” è un francesismo (dal francese antico “ostel” che oggi è diventato “hotel”); nel rimanere sul popolare:”Avuta la grazia, gabbato lo santo”, “gabbare” (anche qui Dante lo usa, nel XX canto dell’Inferno) è di derivazione d’oltralpe: “gab” è la beffa! Sì, la smetto qui con gli esempi tediosi, ma ce ne sarebbero a bizzeffe e non solo dal, quasi sempre citato a sproposito, Dante Alighieri…ne fanno largo uso anche Jacopo da Lentini, Cavalcanti e tanti altri.

Non si capisce poi perché i forestierismi no, ma i dialettismi sì: ogni tanto qualcuno di verdognolo se ne viene fuori con la storia del dialetto come patrimonio di tradizioni e altre menate…

L’intento dell’On. Rampelli, inoltre, non ha nulla di artistico. E “digiamogelo” (cit.).

Non ha nulla, se non un velato e patetico (quanto forse inconsapevole) tentativo di scimmiottamento futurista. La boutade (non saprei come altro definirla e chi legge mi perdonerà il forestierimo) del vicepresidente della Camera (una figura apicale del nostro sistema repubblicano, non scordiamocelo…) ha subdolamente un altro intento, in perfetta linea con il leitmotiv di questo governo: instillare paura! Come? Presto detto! La lingua italiana è sotto attacco da parte di inglesismi e francesismi (parole di Rampelli), i nostri confini sono sotto attacco da parte dei migranti (cito a memoria Salvini, ma non solo), l’umiliazione come metodo rieducativo (gaffe del neoministro del MIUR, On. Valditara, pochi giorni dopo la sua nomina), ripristinare con fermezza l’autorità dei docenti (attraverso appunto umiliazione e sanzioni pesanti). 

A ciò si aggiungono le recenti dichiarazioni del ministro dell’agricoltura, On. Lollobrigidida, al Vinitaly:” Nelle campagne c’è bisogno di manodopera e i giovani italiani devono sapere che non è svilente andare a lavorare in agricoltura.”. Parole che non possono non riportare alla memoria foto e immagini del Duce che trebbia il grano a Sabaudia o proprio l’autarchica battaglia del grano in sé! Sono questi, a parere di chi scrive, terribili segnali del ritorno di un qualcosa che pensavamo superato, ben più spaventosi di un gruppo di folkloristici nostalgici con le braccia tese a Predappio, buoni solo a scandalizzare ANPI e compagnia bella. Quando il fascismo serpeggia, si insinua nelle istituzioni, nel lessico, nella vita quotidiana (parole, cucina, scuola…) è il momento in cui stare in guardia, alzare il livello di attenzione. E dico ciò al netto della pochezza meramente “politica” (le virgolette sono d’uopo) di questo governo, deludente, a mio avviso, per quei pochi che hanno votato e/o l’hanno votato, visto l’astensionismo allucinante alle ultime elezioni. 

Quando qualcuno si tolse la camicia nera, per sbiancarla e farla diventare candida, magari con giacca e cravatta, negli anni 50…sempre fascista è rimasto, dentro! E’ il fascismo delle e nelle istituzioni che spaventa, quello nascosto, quello che impone autorità senza autorevolezza, spesso con la forza, lessicale o meno. Quello che Marco Pannella, presente al congresso MSI del 1982 con un intervento storico, ha da sempre denunciato, autodenunciandosi in mille e più occasioni. Contro questi fascismi oggi ci troviamo (ancora) a combattere. Perché possiamo o vogliamo? Perché dobbiamo!

Claudio Marengo

Di admin

Lascia un commento